sabato 30 giugno 2007

...e poi c'era il karate.



1988. Settembre.

Papà accompagna suo figlio in palestra.
E' una scuola di Karate, un dojo nato sotto la guida del Maestro Spedicato.
Il bambino ha 10 anni da copiere da li a poco. Inizia giocando e va avanti, tra alti e bassi nel mondo del karate.

E' ancora il 1988 ed è ancora settembre.
Un altro papà accompagna un altro bambino in palestra.
Stessa via, stessa arte marziale. E' invece un'altra scuola, un altro dojo, quello che vedrà crescere questo altro bambino, che comunque ha 9 anni compiuti da poco. Inizia giocando e va avanti, tra alti e bassi, nel mondo del karate.

All'epoca era facile vedere palestre di arti marziali piene. Andavano forte soprattutto le scuole di kung fu e karate. Merito dei film dei vari Van Damme, Cinzia Rothrock, Chuck Norris e ovviamente dell'intramontabile Bruce Lee.
Ogni volta che trasmettevano un film di uno di questi personaggi, i due bambini, che intanto crescevano e studiavano in scuole diverse e vivevano in case diverse, si fermavano davanti al televisore a riguardarli, 1, 10, 1000 volte.

I due bambini erano amici e avevano lo stesso sangue.
Serate in pizzeria, esperienze al mare, ninne nanne negli stessi lettini cantate da mamme diverse. Crescendo c'erano cose sempre nuove da scoprire, le prime ragazze, i primi litigi, le canne, i funerali, i natali.
E poi c'era il karate.



1998. Giugno.

Erano passati anni da quando i due papà accompagnavano i due figli nelle due scuole. I due dojo parevano non interessare più questi due bambini ormai ragazzi.
Figurarsi, non si parlavano nemmeno più questi due ragazzi, e neanche da poco. Da anni.
Una lite troppo forte di cui probabilmente nemmeno ricordano più il motivo li separò per anni lunghi secoli.
Erano ormai lontani i tempi degli allenamenti clandestini nelle masserie abbandonate, le scalate su edifici pericolanti, i graffi, le scalate con corde lunghe 20 metri e spesse 1 misero centimetro.
I calci e i pugni, le serate in pizzeria.
I due ragazzi erano cresciuti e avevano preso strade differenti, esperienze differenti e ormai non c'erano più feste e cazzeggi. Si vedevano solo ai funerali o per sbaglio, per strada.
E poi c'era il karate.

I due ormai non praticavano più da anni.
Le televisioni italiane non trasmettevano più i film di Van Damme, e Chuck Norris ormai faceva solo quella cagata di Walker Texas Ranger. Anche l'intramontabile Bruce Lee era ormai tramontato. Le scuole di karate si erano svuotate completamente. Il dojo aveva chiuso. Il maestro Spedicato aveva aperto altre palestre nel corso di quegli anni, più piccole e consone al numero degli iscritti.

I due ragazzi si incontrarono ed ebbero una discussione finita a tarallucci e vino, in cui furono ricuciti i rapporti, carate le ferite e rifatti giuramenti.
Avrebbero ripreso con il karate.


2006. Settembre.

Sono cresciuto. 28 anni da compiere da li a poco e una palata di cazzinculo come bagaglio spirituale. Prendo il cellulare. Se questo che vedo nell'elenco è ancora il suo numero di telefono lo chiamo e lo invito con me in palestra.
Rifiuta.
Si allena a casa l'altro ragazzo ormai 27enne.
Bene, ci andrò da solo.
10 anni dopo il mio ultimo allenamento in palestra, 5 anni dopo l'ultimo allenamento con mio cugino di sangue, mi riiscrivo in palestra, con qualche segno degli anni e qualche cicatrice di troppo.
Rimettere il karateggi mi fa paura, ma solo nei primi 5 minuti. Sfiancato mi alleno prima 3 volte la settimana, poi 4, dopo il lavoro.

Passano i mesi ed è ora di richiamare l'altro ragazzo.
A distanza di 5 anni dall'ultima volta ci alleniamo insieme, facendoci un sacco di male, goffi e impauriti dai ricordi e dall'ombra dei rimpianti. Calci, pugni, risate.
Come 18 anni prima, da bambini.



2007. Giugno.

Ieri c'è stato l'esame, duro e sfiancante.
Ho preso la nera, I° dan.
Stento ancora a crederci.
Ora si smette di giocare al guerriero e ci si impegna seriamente.
Per rispetto.
Nei miei confronti, nei confronti del Maestro, del dojo e di mio cugino, che è ancora lì, a casa, ad allenarsi.
Birra con gli amici della palestra, poi altra birra con gli stessi amici della palestra e poi, una volta solo, agile passeggiata riepilogativa, immerso nei ricordi, con uno sprizz in mano.

Penso agli anni che sono passati e mi rendo conto che non è la cintura nera quello che conta. L'importante, la cosa bella di averla presa, è che quando avrò 60 anni non avrò il rimpianto di non averlo fatto.
Ma già lo sapevo.

Ora ho un altro obiettivo.
Riportare all'ovile quel bambino, perchè in 18 anni non siamo mai stati nello stesso dojo.
Perchè il tempo passa in fretta.
Perchè prima c'è il nostro sangue.


Solo poi c'è il karate.

lunedì 18 giugno 2007

Sono meglio gli 8 bit


Ancora una volta mi hanno chiesto cosa ne penso dei manga di oggi.

Se sono scesi di qualità o se sono belli come un tempo.
Che sono più belli "quelli di una volta", quelli di quando Dragon Ball era una novità, quelli di quando Ikkoku era una specie di sogno erotico.

Me lo ha chiesto un ragazzo che ha smesso di leggere fumetti "senza nemmeno accorgersene", ha detto.
Prima Dylan Dog gli piaceva di più.
Prima Berserk era il top.
E quanti ne ho sentiti che "i primi numeri di RatMan erano migliori".
E "come Tex non c'è nessuno".

D'altra parte io preferisco gli 8 bit alla xbox.

I lettori migliorano i propri gusti, si evolvono, crescono, cambiano abitudini, conoscenze, culture e spesso non tutto sta dietro a quelle evoluzioni. Il loro corpo spesso non ci sta dietro. La mano che tira fuori i soldi per provare nuove letture, si rifiuta, ribellandosi alla crescita.

Spesso si smette di guardare la tv, o si cancellano i film trash dalla propria scaletta o si smette di andare al Gods Of Metal prima dei 30.
Ancora più spesso si abbandona la lettura dei fumetti.
Perchè c'è scarsa comunicazione nel mondo dei fumetti e si tende sempre a generalizzare.
Non è vero che i fumetti non ti piacciono più, semplicemente per un motivo o per l'altro non sei riuscito a stare dietro al tuo gusto mentre si evolveva.

"Lettori di generi" e non di fumetti si arenano con molta più facilità rispetto ai lettori "puri". I lettori di manga medi, per esempio, leggono spesso fumetti da cui sono stati tratti anime o oav, poi seguono quel filone dapprima con la convinzione di non sbagliare acquisto, successivamente solo perchè immobilizzati nell'abitudine di quel genere di lettura.

Questo genere, come tutte le abitudini, tenderà a stancare chiedendo alla persona "altro". Quando questo "altro" non arriva perchè la persona non sta dietro a questa evoluzione, il gioco si rompe e il lettore smette di leggere. Ma questo smettere è una cessione dipesa dall'incapacità di seguire il proprio maturare, la propria necessità di leggere altro, roba nuova, roba fuori dai soliti canoni, da quei clichè che li hanno avvicinati al fumetto, da quell'anime che è stata solo la naturale scintilla, l'avvicinamento al mondo del fumetto.
Come una crisalide che si trasforma in farfalla, il lettore di generi ha la necessità di altre letture più soddisfacenti.
Spesso però all'interno di quella crisalide ci resta e muore.

Quando avrete deciso che siete stanchi di leggere fumetti e vi rendete conto che leggete solo Bleach, Naruto e FullMetal Alchemist o Dylan Dog, Tex e Mister No, sappiate che siete dei lettori di generi che probabilmente si stanno trasformando in lettori di fumetti.
Prima di smettere di leggere fumetti, abbiate la forza di provare uno di questi 3 titoli:

Maus
Il Ritorno del Cavaliere Oscuro
V For Vendetta

Se anche questi non vi garbano, andate in pace.
D'altra parte, io checchè se ne dica, preferisco gli 8 bit.

giovedì 14 giugno 2007

E il tutto scomparve


Questa è la storia di un bambino e del suo pallone.

Il bambino andava a scuola e amava il gioco del pallone.
Aveva un pallone rosso, di quelli marcacane, un "supertela" che suo papà gli regalò quando il cane del vicino gli bucò il "mundial".
Fu un brutto colpo per il bambino, che amava il mundial con tutto se stesso e che vedeva in esso il suo giocattolo preferito.
E ora il mundial non c'era più.

Il bambino cadde in un silenzio pericoloso per la sua età, perse il sorriso, la voglia di correre e giocare tipica dei suoi coetanei e il suo papà, temendo che non si potesse riprendere più, gli regalo un nuovo pallone.
E adesso il mundial non c'era più perchè suo padre gli regalò un supertela.

Al bambino gli ci volle un pò per affezionarsi al supertela. Ogni volta che era con lui, per quanto il supertela fosse rosso, più rosso del mundial (e il rosso era il suo colore preferito), il bambino pensava sempre alle giornate passate con il mundial, ai calci tirati, ai passaggi con gli amici, ai tunnel, alle giornate sulla spiaggia. A quegli effetti che solo il mundial sapeva prendere, con un calcio ben assestato, se il vento era favorevole.
Ma ora il mundial non c'era più. C'era il supertela al suo posto.

Col tempo, ma neanche tanto tempo, il bambino si rese conto che tutte queste cose, i calci alla palla, i passaggi con gli amici e perfino i tunnel gli venivano meglio. E grazie proprio al supertela, ora aveva nuovi amici con cui giocare al gioco del pallone. E gli effetti venivano addirittura meglio perchè da quando aveva il supertela il venticello ideale era costante.
So che è impensabile, ma sono sicuro che nello stesso istante in cui il bambino cominciò ad apprezzare il suo nuovo pallone, questi, in tutto il suo colore rosso, apprezzava il bambino, favorendogli tutte quelle azioni che prima erano del mundial.
E il bambino fece una promessa al suo pallone.
Una promessa che non avrebbe mai tradito.

I giorni passarono e arrivò finalmente l'estate.
Un'estate lunghissima, calda e piena di arenili. A volte afosa, a volte semplicemente perfetta.
Anche quando pioveva e la pioggia era battente, forte, pesante, il bambino restava li, in attesa che rispuntasse il sole, giocando dentro casa con il suo supertela. In attesa che il sole rispuntasse da quella finestra da cui un tempo guardava con il vecchio mundial lo scendere della pioggia.
Tiri sul muro, rimbalzi improbabili, anche la semplice visione di un film, o il mangiare un gelato alla fragola, se accanto c'era il suo pallone supertela, era per lui un "giocare", un vivere bene.

Il supertela e il bambino divennero inseparabili.
Per il mundial non c'era più spazio. E chi se lo inculava più il mundial. Ormai c'era il supertela con i suoi effetti, i suoi rimbalzi improbabili, i suoi amici, i suoi arenili, i suoi passaggi sulla spiaggia, i suoi gelati alla fragola, i suoi film davanti alla tivù, seduti sul divano.
Il supertela quando era con il bambino diventava ancora più rosso della già forte tonalità che comunemente aveva.
Il supertela non poteva fare a meno del bambino come il bambino del supertela.

L'estate fu lunga, molto, molto lunga ma ciò nonostante anche quell'estate raggiunse i suoi ultimi giorni.
Fu in questi ultimi giorni che il bambino tirò il suo calcio migliore al suo pallone. Un calcio così vigoroso, potente, che il pallone prese delle proiezioni indicibili, merito (colpa?) anche dei venti che proprio in quel momento si alzarono, portando il pallone lì dove il bambino non riusciva a guardare.
Lì dove il bambino non poteva arrivare.
Lì dove il bambino non sapeva parlare.

Il bambino perse il suo pallone e pianse, a dirotto, tanto, fino alla fine dell'estate.

Il bambino non vide più il suo pallone e questi più vide il bambino.
Il pallone era lì, seppur distante, in attesa di essere raccolto, in attesa che il bambino come ogni giorno lo andasse a riprendere, per vedere un film, per mangiare un gelato, per fare anche solo due tiri.
E lo aspettò sotto le foglie che dagli alberi cadevano, sotto la neve fredda dell'inverno che venne, sotto il sole cocente della nuova estate.
Piangendo.
Ma senza mai perdere le speranze, perchè il bambino glielo aveva promesso: "non ti lascerò finire come il mundial".

E il pallone a furia di aspettare il bambino, fu deformato dal sole.
E il bambino morì vecchio, alla ricerca del suo pallone.

E tutto scomparve.

martedì 5 giugno 2007

Salento Fiera del Fumetto. Ovvero: ecco dove erano i fumetti! Nel titolo!


E il Signore disse a Pietro: "Quel che tu e i tuoi discendenti riterrete giusto in terra, io lo riterrò giusto nel Regno dei Cieli."
Che per come la vedo io, vuol dire "Siete liberi di fare un pò il cazzo che vi pare!"
Parola più, parola meno.

(Don Zauker)


Una sfacchinata enorme.
Il lavoro di standista ad una fiera di fumetto comodamente paragonabile ad un mercatino dell'usato.
Non sono incazzato ma deluso.
Del provincialismo, della solita sequela di motivazioni che puzzano da scuse più per se stessi che per gli altri, ho un po le palle piene.
E' un anno che parliamo di cosa non si deve fare perchè le cose non vadano come l'anno precedente, e poi?
Tutti gli errori vengono ripetuti.

L'anno scorso me lo ricordo perfettamente.
A fine fiera furono tirate le somme e fu chiesto con l'umiltà di chi sta iniziando, cosa andava migliorato.

- la pubblicità
- il numero degli standisti
- il numero degli autori
- la mostra mercato al primo piano
- l'interruzione di due ore della fiera tra mattina e pomeriggio

Un anno dopo tutto questo viene ripetuto.
In toto.
A fine fiera ci si richiede "allora, cosa dovremo cambiare l'anno prossimo?"
Niente.
Che cazzo volete cambiare?
E' tutto perfetto così.
HulkSpakk