venerdì 24 agosto 2007

Gridare fumetto dal centro del mondo


"uei cu faci purpette
de purpa, de purpu" (Gopher)


Ho iniziato che credevo d'avere un'infarinatura generale, preso dalla presunzione di aver letto quintali di meravigliosi Marvel e qualche democraticamente concorrenziale DiSsiccomics. Conoscevo Inoue e Taniguchi, avevo masticato qualcosa di Moore e stravedevo per Miller.

Ora ho un quadro della situazione completo, globale, spietato.

Il mio palato si è affinato, eccessivamente, e sono più le volte che preso dalla voglia di leggere qualcosa di buono esclamo "cazzo non ci sta proprio niente di valido da leggere" che quelle in cui dico "questo fumetto ha i controcazzi".

Sono contro il commerciale e questo mi impedisce anche solo di aprire roba alla Bleach. Mi viene il voltastomaco. Bleah.
FullMetal Alchemist non lo consiglierei nemmeno al mio meccanico.
Odio DragonBall perchè ha fatto il lavaggio del cervello ai ragazzini. Si lasciano convincere da mediaset e dai rivenditori senza dignità (perchè loro lo sanno che non lo è) che sia un capolavoro e se a 17 anni vanno girando disegnando palate di goku alla giapponese convinti che quello sia IL FUMETTO, a 21 vanno a trans pensando che quella cosa lunga e dura sia una figa.
Me li hanno confusi. Poveri figliuoli.
Vabè, più fighe per me.

Mere, le case editrici italiane sono delle macchine da guerra addestrate da tanti Mister X, la cui unica opera sfuggitagli al controllo per salvaguardare i propri profitti, è il loro personalissimo Uomo Tigre. Guardacaso l'unica cosa buona fatta da Mister X. L'unica opera buona che ogni casa editrice ha pubblicato.

Ogni casa editrice che si rispetti ha pubblicato, accanto a tanta merda, qualcosa di decente.
La Panini pubblica Taniguchi, la Planeta Watchmen, la BD Torpedo.
E poi? Tutti sul manga, spranto, povero, a tratti pessimo, quasi mai innovativo.
Quasi a dire "ehi, noi abbiamo anche pubblicato roba seria, cazzo rompete i coglioni?".

A me oramai, se sono sotto il livello de "Il Ritorno del Cavaliere Oscuro" i fumetti mi fanno cagare. Ma non poco, o in senso lato, sul serio.
Roba che come dice Ensi li dovrebbero vendere allegati al Guttalax.
Capite la mia fustrazione?

Insaziabile nella ricerca del capolavoro assoluto leggo fumetti e resto con quella spiacevole sensazione di digiuno, non appagando il gusto e pagando lo scotto dell'invidia nel vedere la sazietà del lettore medio pago del suo Naruto.

Ne risento anche a livello commerciale, quando mi chiedono le ultime novità in campo manga e mi trovo costretto a dire "bè è uscito pincopallo contro il due di mazze" tacendo sullo schifo su cui stanno gettando i soldi, risaltando improbabili lati felici del prodotto, un pò come dire ad un affamato ignorante che questa fetta di pane e merda è davvero saporita, mentendo sapendo di mentire.

Che poi loro sono contenti.
A me sta cosa mi sciocca.

Grido fumetto dal centro del mondo, stanco delle solite tenie, lottando nella tana delle tigri.
Uomo Tigre salvaci tu.

Che poi ognuno è libero di fare quello che vuole, perchè le case editrici sono loro e noi siamo solo gli acquirenti.


Ma la camera in cui esporrò quegli albi, la testa in cui infilerò quelle informazioni, è roba mia.


"comunque la libertà esiste e lui se vuole può restare, ovviamente,
perchè siamo in un posto libero mi pare di capire,
un posto di artisti e di arte, quindi tu fai tutto quello che ti piace.


Nel tuo spazio, non nel mio.
Perchè io sono un pezzo di merda

che tu neanche te lo immagini io quanto sono stronzo." (Dj Gruff)

sabato 18 agosto 2007

Simu salentini core presciati.


"Simu leccesi core presciati,
sona maestru l'arcu te pratu"
(Bruno Petrachi)


"Se sei un pollo sei un pollo.
Mangi sassi e spesso finisci fritto, lesso ma prima ti tirano il collo.
Sei un uccello e non voli.
Hai le ali che si sbattono come le palle appese a un cazzo quando è in fase di scrollo."
(Dj Gruff)






Certo, come no.
Core presciati.
Provinciali siamo. Anzi, siete.

Siete perchè mi avete rotto il cazzo voi e il vostro mare, il vostro sule, il vostro ientu. Fieri di vivere in un ghetto che vi costringe e lega nell'ignoranza, nel distacco dal mondo esterno. Paesini pieni di vecchi che non hanno altro da fare che vivere sul ciglio del marciapiede aspettando qualche straniero di città, da guardare come Lee Van Cliff fissava quel gringo di Clint Eastwood in Per Qualche Dollaro in Più, ma senza sigaro, pronti a fare questioni se osi parcheggiare sotto quello che hanno deciso sia il loro parcheggio auto.


Lieti di passare ogni singola estate tra dance hall e sagre di paese in paesi grandi quanto quartierini di una città media, così frammentati dal resto della società e pieni di micro organizzazioni da avere una sagra per ogni cosa. Ogni gente del nord che ha posato il culo su queste terre mediterranee si ricorda solo dei Sud Sound Sistem e de lu purpu alla pignata. Abbiamo anche i pasticciotti. Eccheccazzo.


Orgogliosi di spingere avanti fiere di fumetto così ridicole e insulse da essere paragonabili solo all'arroganza e alla presunzione di chi li le organizza e spaccia per fenomeni di costume. Con quelle quattro bancarelle che nella collezione di mio cugino quello piccolo ci sta roba più interessante e con più stimoli culturali. Ogni anno ad aggiungere un +1 alla conta della solita esclamazione: "ma è solo il TOT anno. Dobbiamo dargli tempo...". Come se il tempo avesse mai da solo regalato capacità organizzative a qualcuno. E se sei un pollo, sei un pollo...


Sono stanco dei telegiornali locali che ogni volta che intervistano qualcuno gli senti rispondere "è ora che noi salentini riscopriamo le nostre origini", "qui nel salento lu purpu alla pignata...", "siamo orgogliosi di essere salentini...", "abbiamo il salento nel cuore". Io non ho dimenticato niente e niente devo riscoprire. Questo va oltre l'amore per la terra. Questo è essere rimasti imprigionati in questa terra. Una terra che ogni anno che passa si trasforma solo esteriormente, dove i turisti vengono a vedere quei vecchi alla Jhon Wayne nei paesotti, così distanti dalla realtà da sembrare appartenenti ad un'altra dimensione.


Sono stanco del "eh, si ma il fatto è che qui siamo nel salento..." come giustificazione naturale alla propria incapacità gestionale quando non si riesce a quagliare qualcosa. Tipo le succitate fiere di fumetto. Vi ha mai sfiorato l'idea che siete degli incapaci assecondati a questa stessa incapacità? Vivere nella mediocrità salentina a me non porta orgoglio: mi fa incazzare. Posti dove la cosa più intelligente da fare per sovvertire la necessità insoluta del lavoro è fare la guerra dei bottoni con i propri simili. E non una guerra per il potere o per avere più soldi, no. E' proprio per i bottoni. Per le quisquiglie.


Per le stronzate.


Siamo salentini core presciati.


Ad ogni concorso il tema della prima edizione è lo stesso. Lu mare, lu sule, lu ientu. Non siamo cerebrolesi, conosciamo altre cose. Qualcuno tra noi ha visto anche la montagna, la nebbia e la figa. Una volta tanto un concorso facciamolo su questo, tanto per non essere i soliti stolti da sentire la necessità di gridare al mondo "ehi, noi abbiamo il mare! Abbiamo il vento! Abbiamo il sole!" dando l'impressione di non avere altri argomenti.


Io una volta ho visto una figa. E non m'è dispiaciuto affatto. Facciamolo su questo un concorso.

giovedì 9 agosto 2007

Un sabato qualunque, un sabato italiano.


"E sembra un sabato qualunque, un sabato italiano
Il peggio sembra essere passato
La notte è un dirigibile che ci porta via lontano..." (Sergio Caputo - 1983)


Ok lo so. Oggi è giovedì. Ho sbagliato.
D'altra parte anche Sergio Caputo ha sbagliato. Il "sabato" non era qualunque, era un "sabato del cazzo" un "sabato italiano" tipicamente qualunque e tipicamente del cazzo. Come il resto della settimana.
Quindi come il giovedì.
Un giovedì del cazzo, per quanto mi riguarda.

Niente ferie quest'anno. E non perchè mi piaccia il mio lavoro fino a quest'eccesso o perchè sia avido e affamato di denaro, semmai è perchè sono affamato e basta. E povero.
E quindi lavoro anche la settimana di ferragosto, quando anche gli scarafaggi non escono dai tombini di questa fogna di città, perchè, cazzo, a sentir loro è ferragosto e hanno altro da fare.
Fatto sta che lavoro e che a fine serata metto qualche biglietto di carta con delle cifre sopra nel portafogli.
E insieme a queste bollette di telecom, enel e infostrada ci metto anche qualche banconota, ogni tanto.
Succede che dopo una birretta con gli amici si va a casa e si faccia mente locale, perchè quando hai un'attività tua il lavoro non finisce dopo le 10 ore giornaliere. Te lo porti a casa, sottoforma di pensieri quasi mai felici. Pensi a quel cliente strambo, alla fattura che devi pagare a questo o a quel distributore, al vigile urbano che cerca un motivo valido per multarti, pensi che ti sta per scadere l'assicurazione alla macchina.

Mi ricordo che scade il 6 agosto. Lunedì.
Un lunedì qualunque, un lunedì italiano. Lunedì scorso, nello specifico.
Succede che conti i soldi nel portafogli e decidi che domattina, giovedì, andrai in assicurazione a rinnovare il contratto, per poter circolare un altro anno (se la macchina ci arriva al prossimo anno), tranquillo e che le bollette le pagherai un'altra volta, tanto ormai sono già scadute.
E succede che il giovedì qualunque arriva.

All'assicurazione non c'è nessuno. Mi stupisco solo in un primo momento, perchè l'ultima volta era piena così di gente, poi realizzo che "l'ultima volta" era il 6 febbraio e che oggi invece è 9 agosto e la gente meno povera di me è al mare, a farsi fare le pugnette dall'acqua e il bidet dall'aria fresca. Non ci metterò nulla, penso.
Sbagliato.
Il foglio con la mia assicurazione non si trova. Si mettono a cercarlo e passano 20 minuti.
Ristampalo, genio della lampada, penso.
Dopo altri dieci minuti l'assicuratore si arrende e lo ristampa.
Me lo consegna e vedo quanto dovrò pagare adesso che sono passato dalla dodicesima all'undicesima tabella.

Il 6 agosto è un giorno un po del cazzo per pagare l'assicurazione, per vari motivi.
Primo: è in piena estate e di estate, si sa, non ci sono soldi. Che poi vorrei vedere in autunno questi dulivi di contante dov'è che stanno...
Secondo: è il compleanno di Letizia.
Terzo: è a ridosso del versamento dei contributi.
Quarto: è un giovedì italiano.
Fatto sta che il 6 agosto mi scade il contratto e va rinnovato, quindi c'è quantomeno il piacere di pagare di meno rispetto all'anno prima.
L'anno prima pagavo 465 euro a semestre, 930 euro l'anno.
930 euro in più rispetto al valore della mia macchina.
Guardo il foglio con il nuovo importo. Seicentodiciassette euro.
Ora, io non sono mai stato un genio nè della matematica nè di economia finanziaria, ma se i sensi di ragno non mi ingannano, seicentodiciassette è un valore più alto di quattrocentosessantacinque. Chiedo conferma all'assicuratore e lui conferma. Gli chiedo il titolo di studi, per avere un'ulteriore sicurezza. Non è laureato in matematica: ne ero sicuro.
C'è qualcosa che non va.
"Mi scusi ma in che tabella sto?"
"Sei tornato alla quattordicesima. C'è un sinistro risalente al novembre 2005"
Un novembre qualunque, un novembre italiano, penso.

Me lo ricordo quel novembre. Mese del cazzo.
Iniziava ad affacciarsi alle porte il natale, e qui c'era un sole così fuori luogo che sembrava essersi sbronzato la sera prima e che non ne stava capendo un cazzo il giorno dopo. Che cosa ci facesse il sole in pieno novembre sulle terre del sudditalia ancora non l'ho capito.
Ma era sera e del sole neanche l'ombra. L'ombra di tutto il resto però c'era. Delle auto che scorazzavano, dei bidoni di spazzatura non ancora svuotati, di teste di cazzo che quel giorno potevano stare a casa loro o andare affanculo altrove.
Fu una di queste teste di cazzo che rese quel novembre il peggiore del duemilacinque.

Avevo fame e avevo appena accompagnato a casa Andrea Soldino, un vecchio amico e cliente. "Vecchio" non nel senso che era un matusa, ma nel senso di "passato", che ora non è più. Amico intendo. E anche cliente. Insomma, era un tipo.
Accompagnavo sto tipo a casa e mi veniva fame, come se le due cose fossero correlate. Sulla strada del ritorno decido di accostarmi abilmente sulle strisce gialle della fermata dei bus, certo di non impedire il transito a nessuno.
A Lecce le fermate per il bus e le corsie preferenziali hanno più o meno la stessa funzione che lo scudo spaziale ha per gli americani.
Non serve a un cazzo.
Non ci sono alieni, non serve uno scudo.
Non ci sono bus, non servono le corsie preferenziali.
Suvvia, non ci vuole un genio a capirlo.
E' un po come quando si era alle medie e si giocava a gonfiare i preservativi. Se non c'è figa, non servono i preservativi, e infatti se ne facevano pratici palloncini.
Niente bus, non servono le preferenziali, e io mi ci parcheggio abilmente sopra.
Un coglione qualunque, un coglione italiano nel particolare, e, sempre nel particolare, un coglione donna, decide che per girare a destra debba tagliare la shikan manco fosse Ayrton Senna ai tempi d'oro. Tutto bene fino a qui, direte voi. E invece no.
Vogliamo ricordare a tutti la fine che fece Senna?

Senna, grande pilota di formula uno, un bel giorno decide che 213 chilometri orari è un'ottima velocità per scagliarsi contro il muro di cemento della curva del Tamburello e che le 14e17 sono un ottimo orario per dire addio alla propria attività cerebrale. Muore anche fisicamente alle 18e40 dello stesso giorno, il primo maggio 1994.
La Festa del Lavoro.
Anche gli scarafaggi non escono dai tombini il primo maggio, sostenendo che hanno ben altro da fare che lavorare. A ucciderlo, litrate di flit. A Senna è bastata una sospensione, la laterale destra, che gli ha spaccato la visiera del casco all’altezza del ciglio destro prima, e il cranio poi.

Questa ragazza qualunque, questa ragazza italiana, non era Ayrton Senna. E quel giorno non era l'uno maggio. Era il 17 novembre. Giovedì. Erano le undici e mezzo di sera quando sono arrivati i vigili urbani e l'impatto dell'auto della zoccola sulla mia auto in sosta era avvenuto già da un po. La ragazza non era Senna e questo l'ha preservata da una morte fisica poche ore dopo. Per quella cerebrale non c'è mai stato nulla da fare.
Era scema da sempre.
L'ho capito quando ha iniziato a sostenere che fosse colpa mia che lei ha svoltato a destra in un modo così stretto e incapace da prendere la mia auto ferma.
Non in movimento, signori. Ferma.
E' un po come ingravidare la propria partner sborrando sulla seditoia e facendocela sedere per una semplice pisciata. E' da coglioni. Da coglioni e da evidente morte cerebrale.

A pochi metri dalla fermata del bus su cui mi ero abilmente parcheggiato c'era il furgone che vende panini. Se non ho capito male ci sono in un sacco di città, solo che a Lecce sono di più. I coglioni di bue esposti nel banco frigo mi ricordavano con una precisione infallibile ogni singolo minuto che passava dal mio ultimo pranzo alla cena che ormai pareva non arrivare mai. Avevo una fame così grande che iniziavano a manifestarsi le prime visioni misticosportive.
Ayrton Senna era apparso davanti a me e guardava l'auto della tipa, poi la mia auto, poi la tipa e poi il furgone coi coglioni di bue. Poi di nuovo la tipa.
Si compra un panino e una birretta, una dreher. Si avvicina di nuovo a noi quando ormai sono arrivati vigili. Guardo i coglioni di bue, poi il mio orologio. Sono le undici e mezzo.
I coglioni di bue non sbagliano mai.
Guardo la tipa. E' preoccupata di aver seguito il consiglio di quella sega del suo ragazzo di chiamare i vigili. Inizia a pensare che forse avevo ragione io, che il danno alle due macchine è infinitesimale e chiamare i vigili significa avere un verbale prima, poi una spesa nel ritirare le nostre dichiarazioni dal comando dei vigili urbani, una specie di Four Freedom Plaza dei poveri, e infine, cazzo più grande di tutti, la messa in mezzo delle assicurazioni.
Per chi non ha mai avuto a che fare con le assicurazioni automobilistiche vi dico che le assicurazioni proteggono i propri assicurati come l'uomo protegge la natura. Insomma, è un po come mettere Pacciani in un asilo nido per proteggere i bambini.
Le assicurazioni ci avrebbero massacrati.
Lei nonostante l'incapacità fisica nel guidare e la mancata comprensione all'utilizzo del volante inizia a supporre che forse può essere che ha fatto la cazzata a girare così stretto. La sega del suo boiz invece lo sa perfettamente. Ed è lui che mi crea i problemi. Sapendo perfettamente i limiti della troia che si scopa inizia a inventare storie del tipo "sei tu che sei partito arrivandoci addosso" e "mi devi pagare la verniciatura della macchina".

Alle mie negazioni risponde con altrettante e al "le assicurazioni la metteranno nel culo a entrambi, dove per entrambi siamo io e la tua ragazza", rispondeva "e sia!".
Essì. Tutti ricchioni col culo degli altri.

E' stato quello che gli ha risposto Senna, masticando il panino con la bocca che aveva in fronte, vicino al ciglio destro, dalle 14e17 del primo maggio 1994 e sorseggiando la birra con quella che aveva al posto della bocca dalla nascita.

Non ha aperto bocca l’assicuratore quando gli ho detto che sarei tornato, eventualmente, all’indomani. Aveva già capito che il mio era un addio senza fiocchi, di quelli fiacchi, scoglionati. Non ha aperto bocca perché doveva trovare le parole giuste per convincermi a restare con loro. E anche perchè aveva in bocca un sigaro spento e non era certo Ayrton Senna, no... l'assicuratore di bocca ne aveva solo una purtroppo.

Per ora.

Me ne sono andato e credo che non ci tornerò mai più, così avrà anche un bel po di tempo per pensare a quali parole pronunciare.
Ora sono a piedi, mi sono comprato due camere d’aria per la bicicletta, così la riparo e almeno non sto completamente a piedi fino a che trovo una nuova soluzione, e sono andato a casa per darmi una sciacquata, che qui si lavora e non c’è acqua di mare a farmi le pugnette né tanto meno aria fresca a farmi il bidet. Anche se siamo a un passo da ferragosto.
Grazie a dio ho ancora uno spazzolino e posso lavarmi la bocca, che dopo tutte le bestemmie e le volgarità che sono stato capace di buttar fuori da questa fogna, in questo giovedì qualunque, in questo giovedì italiano, ne ho bisogno.

Spazzolino e dentifricio. Che accoppiata vincente. Sono un po gli Stanlio e Olio dell’igiene. Per quanti anni passano, sono sempre in voga. Non muoiono mai. Fantastico.
Fantastico.

Lo spazzolino mi si spezza in bocca dopo pochi secondi e il dentifricio mi cade sulla maglietta e scivola lento sui pantaloni.
E’ un giovedì qualunque, un giovedì italiano.
Se bestemmio ancora un po’ non mi basterà il dentifricio per lavarmi la bocca, ma avrò bisogno dell’ace gentile. E lo voglio gentile solo perché ci sarà più gusto nel mandarlo affanculo.

mercoledì 8 agosto 2007

Estate




Cazzarola è Agosto.

Tra l'altro ci avviciniamo pericolosamente alla prima decade.

E' agosto e non me ne sono nemmeno accorto.

Mi sembra ieri che compro i regali di Natale e invece, guarda un po, siamo in estate. Gli uccellini cinguettano prima di tirare le cuoia per il caldo tropicale, le vecchiette muoiono di infarto per i calori per nulla sessuali che le investono e i giovani si schiantano ora in moto e ora in auto, perchè cambiare fa bene alla fin fine.

E si spezza anche la monotonia dello spezzare le vite nel solito classico modo.

Certo però che anni fa era diversa l'estate per me. Ai tempi della scuola l'estate era uguale a vivere, perchè con la scuola tra i piedi, quella non poteva essere vita. Fuori di casa almeno 18 ore al giorno, a zonzo, schivando ora la droga e ora le cattive amicizie, tra una leggenda metropolitana e l'altra sui francobolli drogati e i pedofili all'uscita della scuola.

In giro con gli amici a decidere solo come perdere tempo oggi o con chi riempirsi di botte domani. Anche capire come evitare di prenderle era sempre lo spunto per un buon piano.


Oggi invece l'estate significa ben altro. L'assicurazione scade il 6 agosto.

Che giorno del cazzo.

In piena crisi economica e a ridosso del versamento dei contributi INPS.

Che poi "crisi economica"... come se l'estate fosse un cambiamento serio a livelli di incassi. Sfido io i contributi a collocarsi in un mese dell'anno dove non sono in bolletta.

Controllo quella della Wind, che poi non è la bolletta vera e propria, ma il sollecito.

205 euro.

Dio buono.


"Buona estate" è un'affermazione che ormai non mi fanno neppure per schernirmi. Niente ferie, niente uscite di 18 ore al giorno, niente compiti per le vacanze, niente di niente.

E niente mare.

E meno male che ho l'oceano a pochi chilometri altrimenti non riuscivo neppure a spellare a causa della drammatica cadenza con cui vado a prendere il sole.

Soltanto i più fortunati, chi ha un lavoro che rende o chi è mantenuto da mamy e papy vanno al mare a quanto pare.

E mi passo le giornate tra bar e cartoleria, il miglior vicinato che un uomo possa desiderare. Un succo, una bibita, una chiacchiera e il tempo passa.

Non ci vorrà nulla che arriverà febbraio e dovrò pagare il nuovo semestre dell'assicurazione alla macchina pensando "cazzo sembra ieri ch'era estate!"