sabato 9 maggio 2009

Sostanze sedative


Ombre e nient’altro.
Terra forse, sostanze sedative, qualche odore, ma nulla confronto all’ombra. Era dappertutto, era tutt’intorno, la vedevo la sentivo la toccavo.

Quando snocciolò il suo piano infallibile capii che "infallibile" nella testa di Mario Bobbinetti equivaleva a un pratico manuale per ficcarsi nella merda in 10 rapide mosse. Scacco al culo: sei nella merda.
Quando lo ascoltai e concluse la didascalica chiarificazione del progetto con "ecco, questo è il mio piano infallibile", conservava la faccia di chi è convinto di aver appena avuto un colpo di genio, e il sorriso di chi non sa di che cazzo sta parlando. Scovai un’interessante assonanza tra "piano infallibile" e "stronzata indicibile".

Rubare una macchina era un conto, è stato il mio primo grande passo verso il riformatorio. Spacciare pakistano e marocchino, o roba scadente tagliata con l’anima di qualche negro di periferia, che tra i due facevano a gara a chi avesse il colore peggiore, aveva un senso. Anche rapinare la farmacia in cerca di metadone e di qualche siringa con laccio emostatico annesso, difendeva il suo perché: una specie di kit di sopravvivenza dell’eroinomane, uscito da poco da un centro di recupero per tossici dove in maniera evidente non è stato svolto un buon lavoro.

E’ da li che ero appena uscito, è li che l’ho conosciuto ed è questo che stavo spiegando al Bobbinetti, che in questo momento aveva gli occhi bianchi, girati dall’altra parte delle orbite, con la testa molleggiante che andava avanti e indietro come quella di un negro alla guida di una grezzamobile per negri con sottofondo di musica negramericana, di ritorno dalla rapina in farmacia. I pensieri si accavallavano nella mia testa cercando l’un l’altro di superarsi per capire se era più scura quest’eroina o i peccati del negro che ci aveva ficcato dentro l’anima.

Davanti a me, il kit di sopravvivenza mi guardava senza porre troppe domande.
Andare da Paolo il Ciccione, detto "il macellaio" ma conosciuto anche come "il tritacarne" e "lo svezza budella" (a causa dell’innata propensione a spingere le budella a rendersi autonome e comportarsi in maniera adulta) per fregargli l’incasso della serata, strafatti come ciucci, era un suicidio e davvero non lo avrei mai fatto se Mario non mi avesse mostrato il ferro.
Il "ferro" come lo chiamava il Bobbinetti era una Colt 1911 del ’43, probabilmente appartenuta al nonno. Una calibro 45, molto bella da vedere, almeno ai miei occhi ignoranti.

- Dove l’hai presa?
- Ti piace? Andremo con questa, incappucciati, non ci riconoscerà, non si ribellerà, nessuno si farà male.
- Dove l’hai presa?
- Nessuno si farà male...
- Ehi, dimmi dove l’hai presa...

Mario Bobbinetti era affascinato dal suo ferro come, a suo dire, Rocco Siffredi era affascinato dal suo cazzo. Entrambi non eccessivamente lunghi, entrambi davvero potenti.

- E se qualcuno dovesse decidere che ci si dovrà fare male, bè...

Sarà lui a farsene, concluse, rimirando l’articolo.
Non so come mi convinse, ma mentre dissi si, ricordo, l'ero l'aveva in mano lui.

La macelleria era davanti a noi. L’insegna con i neon azzurri e scassati dichiarava senza troppi scetticismi il numero degli anni ormai passati e Paolo il Ciccione, il macellaio, il tritacarne, lo svezza budella, fuori dal locale, appoggiato braccia conserte alla vetrina annunciava con il suo imperturbabile silenzio, un dominio riconosciuto da tutti sulla piazza cui si affacciava. Dietro di lui, conigli sgozzati e costati di buoi dei paesi suoi.

Il piano infallibile era piuttosto semplice: Mario si sarebbe avvicinato alla macelleria, non appena il Ciccione fosse rientrato, gli avrebbe puntato addosso il fottuto ferro, e col culo parato e il viso coperto dalle calze di naylon di Saretta, sua sorella minore in quel momento ancora ignara di tutto, gli avrebbe estorto i soldi dalla cassa. Il mio compito, quello del classico palo.
E nessuno si sarebbe fatto male.

Questo ovviamente se le cose non fossero andate in vacca e se il Bobbinetti avesse saputo dei problemi di incontinenza del tritacarne.

Paolo il Ciccione entrò nel suo locale e senza che nessuno di noi se ne accorgesse, chiuse a chiave la porta. Per andare a pisciare, avrebbe poi detto qualcuno. Ma Paolo il Ciccione aveva problemi seri alla prostata e questo a lungo andare ebbe ripercussioni serie sul suo sfintere che a dispetto della propria dignità, lo abbandonava senza troppo preavviso, spingendolo spesso a corse impegnate e comunque, spingendo verso il basso.

Mario impugnò la Colt 1911 e quando lo vidi stringere la mano intorno all’impugnatura, partendo dal mignolo e passando poi all’anulare e al medio, come un guerriero che stringe il pugno intorno all’elsa di una spada, non potetti fare a meno di pensare a Rocco Siffredi che impugna il suo attrezzo con maestria e signorilità ogni volta che inserisco il dvd di Dr. Rocco Mr. Sodo. A quei tempi si che si scopava duro.

Mario corse verso la porta. La pistola era rivolta verso l’alto, nella mano destra, all’altezza del petto, il cane era spianato. La spallata di Mario alla porta era sincronizzata al movimento della mano sinistra che abbassava la maniglia per liberare la serratura ed entrare di scatto, prepotente, nel locale.

Click.

BAAAAM.

La chiave bloccò sul nascere la rapina.
Sordo.
Solo un rumore sordo. E ombre, tante ombre.

Lo scoppio che ne seguì era un piccolo presagio della tragedia.
Il sangue che colava dalla testa di Mario Bobbinetti aveva un colore che mi ricordò La Lettera Scarlatta di Nathaniel Hawthorne, e a vederlo da vicino, mentre inconsciamente cercavo di riprendermi dallo shock e realizzavo che effettivamente il "piano infallibile" del mio compagno di stanza nel centro tossicologico era una merda a cielo aperto, non notavo grosse differenze tra Mario Bobbinetti e il coniglio squoiato appeso per la gola ad un gancio a esse dall’altra parte del vetro. Erano cianotici entrambi. Entrambi vistosamente morti, solo che il coniglio non colava più.

Qualche grido di terrore dalla strada catturò la mia attenzione. Avrei voluto ragionare in fretta, ma la parola "fretta" mi confondeva e allora avrei voluto scappare, ma era da codardi, e allora avrei voluto essere lucido per poter decidere cosa fare, ma non ero nelle condizioni migliori per farlo, ancora evidentemente strafatto di roba negra.
Raccolsi la pistola. Mossa sbagliata.

Non so esattamente cosa avevo intenzione di farne, ma il mio corpo si mosse per me e decise che la cosa migliore da fare era cagarsi addosso, entrando in competizione con il culo di Paolo il Ciccione e manco a farlo apposta, con quello di quello di Bobbinetti, e non era un buon odore quello che d’un tratto emanavamo, ma in quel momento e solo in quel momento saremmo stati tutti vicini, legati da un invisibile filo di merda che se solo me ne fossi accorto era già diventato un mare. Per un piccolo momento fummo tutti e tre davvero molto amici.
Mi sarei aspettato qualcosa di meglio dalla decisione presa dal mio corpo, ma l’istinto è l’istinto e lo sfintere è lo sfintere.

Avrei voluto preoccuparmene e convocare un piccolo congresso cerebrale per disquisire sulla suddetta incresciosa situazione, ma una tra quelle grida mi sembrava prender piede vita e corpo nella voce del macellaio che sempre più grande e minaccioso si avvicinava nonostante il puzzo e il fetore che diffondevo. Il superpotere da puzzola non valeva una lira.
Nella destra aveva una mannaretta abbastanza ostile e già mi aspettavo di trovare un coltello per prosciutti nella sinistra. Quando spostai la testa vidi la mano del tritacarne vuota, ma non riuscii a esserne troppo contento perché si muoveva abbastanza velocemente in avanti e indietro, per aiutare il Ciccione a raggiungere lo stolto, ovvero io, e spaccargli il culo.

E in men che non si dica il Ciccione mi raggiunse.
Click.

Tra di noi c’era la porta e ora avevo sentito perfettamente la chiave girare e i battenti aprirsi e d’un tratto tutto fu chiaro: non avevo mai sparato ma dovevo imparare in fretta.

BAAAAM.

Gli occhi del Ciccione erano infuocati, ma non ci vidi rabbia, odio. Ci vidi terrore. Terrore per me, terrore per Mario Bobbinetti. Terrore come quello del coniglio sgozzato appeso al gancio in acciaio inox. Forse perché alla fine dei conti Paolo il Ciccione era solo una macchietta, alle prese col suo lavoro, capitano di una nave che aveva iniziato ad affondare per due topi di fogna come me e il Bobbinetti. Forse era un uomo buono e quell'inquietante mannaretta che stringeva in pugno era il suo modo di dimostrare affetto.

Io non riuscivo a vedere i miei occhi, ma ricordo che avrei voluto colpirlo in pieno, di modo da dover sparare una volta sola, ed evitare così pendenti che implorano pietà, quindi deduco che erano abbastanza idrofobi.

Il cielo era stellato ed era da tanto che non me ne accorgevo. Non vedevo più Paolo il Ciccione detto anche "il macellaio" e "il tritacarne" e "lo svezza budella" e sentivo accanto al mio il corpo del Bobbinetti. S’era cagato addosso pure lui, ora ne avevo la conferma. Che ironia, avrei voluto pensare.

Ora però vedevo un neon rotto che non era più quello dell’insegna di Paolo il Ciccione, questo aveva una luce bianca e lontano, forse proveniente da un altro mondo che ora non c’è più, sentivo un suono, come di sirena, ma non di quelle sirene che fanno paura a quelli come me.

Qualcosa mi toccò il braccio, pungendomi. Probabilmente qualche sostanza sedativa.
Vedevo solo ombre, quando un attimo prima c’era la macelleria, sentivo solo un piccolo vociare, quando un attimo prima c’erano le grida della gente.
Percepivo qualche odore, mi ricordava i corridoi di ospedale, che oltretutto mi pareva di vedere proprio ora. Mi facevano paura gli ospedali ma era nulla confronto all’ombra.

Era dappertutto, era tutt’intorno, la vedevo la sentivo la toccavo. Ombre e nient’altro.
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2 commenti:

dark0 ha detto...

ciao maxy, ho rifatto la veste grafica del mio blog poi mi sono accorto che mancavi tu o meglio il tuo link all'appello, ti ho rimesso.
non odiarmi

davide

yakul ha detto...

wow..